Matteo Amati introduce il Convegno “La Terra come Patrimonio Comune” del 15 maggio 2017

Questa che pubblichiamo è l’introduzione di Matteo Amati al convegno “La Terra come Patrimonio Comune” che si è svolto il 15 maggio 2017 nella Sala della Protomoteca in Campidoglio

di Matteo Amati

Roma Agricola senza prodotti

Rivolgo un caro saluto e un ringraziamento a voi tutti che avete raccolto l’invito a partecipare a questo Convegno dal titolo molto esplicito “40 anni dall’occupazione delle terre”.  In particolare agli organizzatori: Lega Coop. Nazionale Agroalimentare, CGIL Flai Nazionale, CIA e significativamente al Presidente della Cooperativa Agricoltura Nuova Carlo Patacconi e agli altri collaboratori Mario, Sandro, Adele, Achille, Alberto, Enzo, Pino, Mara e agli insegnanti e agli allievi della scuola Agraria Garibaldi e alla scuola sperimentale Rossellini.

L’esperienza del recupero delle terre incolte e mal coltivate ha segnato la vita di molti di noi che l’abbiamo vissuta.

Non sarà facile ripercorrere in queste poche parole di presentazione e nelle poche ore di questo Convegno una storia quarantennale che rimanda a protagonisti diversi, con storie altrettanto diverse e in alcuni casi perfino contrastanti.

La giornata odierna e la mostra che si è aperta al Museo di Roma in Trastevere, hanno lo scopo di aggiornare le idee, i progetti, i valori che maturarono in quell’esperienza.

Anche oggi a distanza di quarant’anni vogliamo sollecitare e incalzare le forze politiche, culturali e le istituzioni sui temi che ritenevamo e continuiamo a ritenere fondamentali per il nostro paese.

Negli anni settanta l’Italia aveva un deficit agroalimentare di 3.500 miliardi di lire e dunque c’erano ragioni molto serie per impegnarsi al rilancio dell’agricoltura e con essa al ritorno dei giovani al lavoro della terra, alla qualità del cibo e degli alimenti, alla salvaguardia del territorio, dell’ambiente e del paesaggio agrario. Come pure si poteva pensare che l’agricoltura potesse essere una buona occasione per l’inserimento lavorativo di ragazze/i portatori di disabilità psico-fisiche.

Su questi obiettivi la sinistra era divisa.

Mentre Pio La Torre sosteneva il movimento per il recupero delle terre incolte, altri lo contestavano, altri ancora si mostravano indifferenti.

In quegli anni si andava sviluppando un movimento di lotta contro l’emarginazione, le strutture chiuse, le scuole speciali e differenziali, gli ospedali psichiatrici ovvero “i manicomi”, le carceri, che poneva con forza il problema del reinserimento nella società degli emarginati e degli esclusi.

Il professor Basaglia, fu in quegli anni un punto di riferimento per tutti noi, la sua rivoluzione contro l’istituzionalizzazione del disagio mentale acuto mise in discussione il concetto secondo cui chi è diverso va recluso e custodito, consentendo invece a queste persone di rimanere soggetti protagonisti di un percorso indirizzato a riacquisire autonomia sociale ed economica.

Bisogna ricordare inoltre che quei fatti accadevano in un periodo storico di forti cambiamenti nella società, sia in termini economici sia culturali.

Il Sessantotto aveva posto problemi nuovi alla società, alla classe politica, alle istituzioni.

Negli anni 70 eravamo nel pieno del terrorismo di destra e di sinistra, si pensi all’attentato a Montanelli, all’uccisione di Casalegno e Moro. Molti giovani spinti anche da una carica ideale si perdevano nella droga e nella violenza.

Altri invece compivano scelte chiare e forti d’impegno sociale e politico a sostegno degli emarginati e più in generale per contribuire a cambiare e migliorare questa società, per uscire dall’indifferenza e dalla rassegnazione.

Un esempio significativo di questa stagione straordinaria d’impegno sociale, sindacale, democratico e politico, furono le scuole popolari nelle baraccopoli, come la scuola 725 all’Acquedotto Felice, dove vivevano migliaia di persone in condizione sub-umana.

In quel periodo si rafforzava inoltre il movimento a favore dell’’obiezione di coscienza che, a differenza di oggi aveva un forte carattere ideologico e politico.

Il pacifismo e la non violenza erano già al centro del dibattito politico degli anni ‘60 con grandi personaggi come Aldo Capitini, Danilo Dolci, Don Milani, Pietro Pinna, Giorgio La Pira, molti in collegamento ideale con l’esperienza di Gandhi.

Grandi utopisti, grandi pedagogisti, che segnarono in modo decisivo le generazioni di quegli anni e che oggi sono pressoché sconosciuti ai giovani.

Gli anni 70 furono anche la stagione dei diritti civili, per la pace e l’ambiente.

A Roma erano gli anni della giunta Argan-Petroselli e nella Città cosiddetta Eterna si respirava finalmente un’aria diversa. Nel ’74 era stato organizzato da Don Luigi Di Liegro, il “Convegno sui mali di Roma”, che denunciava i mali della politica e delle istituzioni, ma anche quelli della Chiesa.

Inoltre, grazie alla mobilitazione dei giovani e delle organizzazioni sindacali, il 1 giugno ’77 fu approvata la Legge 285, per cercare di contrastare il problema della disoccupazione giovanile.

Il recupero delle terre incolte degli anni ‘70 ebbe motivazioni diverse da quelle dell’immediato dopoguerra, quando il bisogno di terra era legato alla miseria, allo sfruttamento, al bisogno di emancipazione sociale e culturale di masse sterminate di disoccupati, di braccianti, mezzadri, contadini poveri.

Tra il 1977 e il 1981 il movimento cooperativo fu attraversato da un’ondata di nuove adesioni.

A macchia di leopardo, a Nord ma soprattutto al Centro Sud furono fondate centinaia di cooperative, in stragrande maggioranza da giovani in cerca di occupazione e in buona parte destinati ad operare in contesti agricoli.

Dopo circa trenta anni di progressivo e costante spopolamento rurale, con intere famiglie che lasciavano la terra per cercare fortuna nelle periferie industriali delle grandi e medie città, quelle cooperative segnalavano una timida ma significativa inversione di tendenza.

Accadeva che ragazze e ragazzi cresciuti nei centri urbani, magari figli e nipoti di ex contadini, ex mezzadri o ex braccianti, mostrassero una sincera curiosità e un genuino interesse per l’attività agricola.

Questo fenomeno è stato chiamato “Movimento di ritorno alla terra”, e al suo interno si annovera nel Lazio l’esperienza di Agricoltura Nuova, un nucleo di giovani disoccupati, braccianti e contadini che occuparono centottanta ettari nell’agro Romano, di proprietà del Comune di Roma in località Castel di Decima.

Il terreno era incolto e mal coltivato, doveva essere lottizzato per uno sviluppo urbanistico dissennato. L’occupazione di quel fondo ebbe una duplice valenza ideale. Da un lato si mostrava come la messa a frutto di terreni lasciati all’incuria potesse rappresentare una risposta ai bisogni occupazionali e un valore aggiunto in termini di economia agraria; al posto di erbacce e rovi si potevano coltivare ortaggi e praticare l’allevamento. Dall’altro si trattava di un gesto di significato etico in termini di difesa e tutela dell’ambiente: cioè contrastare e impedire lo sviluppo della città verso il mare voluto e praticato dall’urbanistica mussoliniana e allo stesso tempo realizzare l’idea che la città di Roma (il più grande comune agricolo d’Europa) fosse circondata da parchi produttivi.

Abbiamo avuto un sostegno forte e incondizionato da Antonio Cederna che vogliamo qui ricordare con particolare affetto, gratitudine e ammirazione.

Siamo riusciti in parte a realizzare quest’ultimo obiettivo anche se la città di Roma rimane comunque e ovunque invasa dal cemento, con penuria di servizi e d’infrastrutture.

La cooperativa A.N. è riuscita a mettere insieme giovani disoccupati, braccianti e contadini, secondo un modello che ha suscitato molto interesse nei giovani europei che venivano allora a farci visita.

Per molti giovani l’impegno nella cooperativa è stato motivo di riscatto sociale e culturale.

Ci sarebbero tante storie da raccontare sul piano umano sentimentale e politico, storie che spiegano com’era e com’è cambiato il nostro Paese.

Le cooperative giovanili nate tra il 1977 e i primi anni ’80, secondo alcuni studi del Ministero dell’Agricoltura sono state circa 2.000 e hanno dato lavoro a circa 50.000 giovani.

In questo contesto, l’agricoltura è stata il settore più rilevante, con circa 400 imprese e 10.000 addetti.

Dal punto di vista geografico, oltre metà di queste cooperative agricole, erano collocate nel Sud del Paese, dove, però era molto più basso il tasso di sopravvivenza: 28% al Sud, 38% al Centro, 58% al Nord.

È facile intuire che la maggiore diffusione del fenomeno nel Mezzogiorno d’Italia e nelle isole derivasse dal più elevato tasso di disoccupazione e dalla maggiore presenza di terreni incolti e mal coltivati.

Di contro, le difficoltà economiche e di contesto delle aree metropolitane, resero più difficile la sopravvivenza di queste esperienze nel medio periodo. A livello di singole regioni, 5 realtà geografiche spiccano su tutte le altre, cioè la Sicilia, la Sardegna, La Toscana, la Puglia e il Lazio, soprattutto in termini di partecipazione dei giovani.

Anche se i numeri raccontano di tante esperienze che sono venute meno, l’analisi qualitativa del progetto imprenditoriale di esperienze più durature, molte delle quali proseguono ancora oggi, ci conforta per l’importanza del fenomeno anche in termini di eredità storica.

Basti pensare a realtà ancor oggi attive quali: la Cooperativa Agricoltura Nuova, la Cobragor, l’Iris, la Forteto, il Trattore, la Risorgimento di Irsina, la Emilio Sereni di Borgo San Lorenzo, La Comune di Matera, la Rinascita 78 di Illica, la CCT di Montopoli, la A.N. Generazione.

Quasi tutte queste esperienze si sono qualificate lungo tre direttrici principali: la prima è stata il superamento della mera coltivazione del terreno attraverso tentativi di allungamento della filiera: produrre – trasformare – vendere (marmellate, conserve, formaggi, pane, farina, insaccati, carne etc.).

La seconda è stata la valorizzazione delle esperienze attraverso la ricerca di un prodotto di qualità, ad esempio prodotti biologici, biodinamici. Questo genere di approccio si è combinato con l’offerta di servizi ai cittadini (agriturismo, ristorazione e pernottamento, visite guidate alle scuole, educazione ambientale etc.).

Il terzo elemento è stato il collegamento dell’agricoltura a progetti di carattere sociale e culturale, come l’inserimento di ragazzi svantaggiati e la promozione di iniziative culturali.

A distanza di 40 anni dalle prime esperienze di cooperative giovanili non possiamo che tracciare un bilancio positivo che deve farci riflettere sui drammatici avvenimenti che hanno coinvolto il movimento cooperativo.

Mi riferisco naturalmente alla vicenda di mafia Capitale.

Non c’è stata un’analisi seria su questi fatti da parte dei partiti, delle istituzioni, del movimento sindacale e delle organizzazioni professionali, la degenerazione strisciante c’è stata perché personaggi come Buzzi hanno avuto sostegno e sollecitazione a svolgere un ruolo al di sopra delle regole democratiche e di un’etica politica.

Ciò non dovrà più accadere pena la perdita del patrimonio culturale, sociale e morale del movimento cooperativo (e non solo) costruito oltre un secolo fa dall’abnegazione di migliaia e migliaia di uomini e donne che hanno lottato per i valori dell’emancipazione, della giustizia sociale, della dignità del lavoro, dell’antifascismo.

Soprattutto guardando ad alcune esperienze di Coop di giovani oggi, che hanno occupato nuovamente le terre incolte o che si sono insediate nella Terra dei fuochi, o che hanno preso in gestione terreni agricoli confiscati alle mafie, dobbiamo porci il problema di quale sostegno e contributo possiamo dare a chi porta avanti gli stessi obiettivi.

Penso all’iniziativa che sta portando avanti oggi l’associazione Campagna Romana bene Comune, per il recupero e il rilancio dell’Azienda pubblica agricola di Castel di Guido, che si estende per più di duemila ettari alle porte di Roma ed è tra le più grandi aziende agricole biologiche d’Italia.

Castel di Guido può e deve rappresentare l’emblema di un nuovo progetto e modello di rilancio dell’agricoltura, di salvaguardia del territorio, di agricoltura biologica, di servizi sociali e culturali a servizio della città metropolitana.

Termino dicendo che l’iniziativa di oggi è rivolta soprattutto a voi giovani, è per dirvi che noi siamo con voi.

Voglio concludere con le parole che il sindaco Argan pronunciò in occasione della prima e unica conferenza cittadina sull’agricoltura l’11 marzo del 1978, tenuta presso la Cooperativa Agricoltura Nuova di Roma.

“Il recupero delle risorse agricole nella campagna romana, non è solo un fatto economico ma anche culturale, i problemi della città non possono essere scissi dal vasto territorio che la circonda.

L’agricoltura non ha solo un valore di centralità per la ripresa economica del Paese, per il risanamento dei nostri debiti, appalesa anche una centralità per porre una barriera alla devastazione del territorio e alla salvaguardia dell’ambiente.

Il lavoro dei campi è fonte preziosa dell’occupazione e riscoperta di valori umani, produttivi, culturali”.

A distanza di 40 anni il monito ancora attualissimo di Argan ben esprime quanti obiettivi siano ancora disattesi e quanto necessario sia l’impegno delle cooperative e più in generale delle loro organizzazioni, del sindacato, delle associazioni agricole e ambientali.

Occorre oggi solo decidere di nuovo che il futuro passi per le mani delle nuove generazioni, così come avvenne nelle grandi stagioni di lotte per la terra del dopoguerra e degli anni Settanta.

E’ per questa ragione che ’iniziativa di questo Convegno e della Mostra che lo accompagna è rivolta soprattutto a voi giovani di questo sempre più difficile presente.

In definitiva, se oggi siamo qui è soprattutto per dirvi che siamo con voi.

Grazie e buon lavoro.