Riappropriarsi del rapporto con la terra. L’agricoltura periurbana e il ripensamento delle periferie

Riceviamo e pubblichiamo un’intervento offerto da Carlo Cellamare sui tema delle periferie e dell’agricoltura periurbana

di Carlo Cellamare – DICEA – Sapienza Università di Roma

Carlo Cellamare

Le trasformazioni della periferia ed il ruolo dell’agricoltura periurbana per la sua riqualificazione

Le nostre città stanno cambiando profondamente, sia nella loro struttura spaziale sia nei modi con cui organizziamo la nostra vita quotidiana e quindi le abitiamo. Focalizzare l’attenzione sul tema dell’agricoltura periurbana è un buon modo per leggere tali trasformazioni e interrogarci sul futuro delle nostre città. Nei contesti periurbani, il rapporto con la terra, intesa anche come bene comune e risorsa non rinnovabile (emblematica quindi di un rapporto con l’ambiente), è profondamente condizionato dalle trasformazioni dell’urbano e da dinamiche e processi che vedono crescere e prevalere modi di abitare prettamente “urbani”.

In primo luogo, perché gli utenti ma anche i soggetti produttivi provengono da una “cultura urbana”. Anche chi si dedica oggi alla pratica agricola e alla produzione (ad esempio i giovani che tornano a lavorare in campagna) proviene da quel tipo di cultura e di mentalità e questo non è necessariamente un fattore negativo, anzi è spesso un fattore positivo perché portatore di conoscenze innovative, di una scelta più consapevole e meditata, di obiettivi che guardano non solo alla produzione di reddito ma anche a valori come la sostenibilità ambientale e la chiusura dei cicli naturali. Allo stesso tempo cambia anche l’utenza, i fruitori, i destinatari. L’aumento della consapevolezza ambientale infatti orienta molte popolazioni “urbane” a ricostituire un rapporto con la “campagna” che circonda la città. Queste aree diventano, soprattutto lì dove opportunamente attrezzate, anche l’occasione e l’opportunità per attività nel tempo libero (soprattutto nel weekend, quando si ha il tempo per spostamenti di maggiore ampiezza). Inoltre è particolarmente cresciuta l’attenzione verso il tema del cibo e quindi verso la qualità e l’origine dei prodotti, nonché tutto il patrimonio di conoscenze, storie e capacità produttive che si situa dietro quei prodotti e le relative modalità di produzione.

In secondo luogo, bisogna tenere in particolare considerazione le trasformazioni dell’urbano, ovvero le modalità con cui si stanno trasformando le nostre città ed, in particolare, Roma. Assistiamo all’“implosione” delle città e all’“esplosione” dell’urbano. Vengono cioè meno le città per come le avevamo conosciute (e Roma è emblematica in questo), compatte e densamente abitate, a favore di una diffusione di strutture metropolitane e reticolari, spesso a bassa densità, disarticolate sul territorio, che viene investito nella sua interezza (diffusione e dispersione insediativa), diventando tutto “territorio abitato”. Pensiamo alle forme della “città diffusa” e alle cosiddette “villettopoli”, ma anche alle reti urbane e metropolitane della Pianura Padana o alla struttura metropolitana di Roma, alla “città del GRA” che ha invaso a macchia di leopardo l’Agro Romano, preziosissima area agricola, ma anche dal profondo valore identitario e ricca di testimonianze storico-archeologiche. Non si tratta soltanto di una trasformazione delle morfologie insediative, ma anche di un profondo cambiamento nei modi di abitare, un cambiamento antropologico. Si vive allo stesso tempo in più luoghi con funzioni differenti, è forte la frammentazione nello spazio e nel tempo della vita quotidiana, è più difficile una relazione profonda con il contesto in cui si abita, la mobilità – spesso su ampia scala – assume un carattere prevalente. All’interno di questo contesto, perde senso il tradizionale rapporto “città-campagna”. A Roma, ad esempio, il Grande Raccordo Anulare non è più il confine tra la città e la campagna, ma un grande boulevard urbano (che distribuisce imponenti flussi veicolari) all’interno di un coacervo di insediamenti molto diversificati. Le aree agricole diventano intercluse nelle aree urbanizzate, in molti casi vi è molta frammentazione, molte aree non vengono utilizzate perché rimangono in attesa di future edificazioni o diventano oggetto di mire speculative. Se, da una parte, gli effetti dell’espansione metropolitana determinano grandi impatti ambientali (Roma è la città d’Italia col maggior consumo di suolo in valore assoluto), allo stesso tempo le aree agricole – un tempo considerate “vuoti urbani”, “aree di frangia”, ecc. – possono oggi ricostituire la base per un rapporto più stretto con gli insediamenti circostanti ed una opportunità per la localizzazione di attività e servizi utili per gli abitanti.

In questo nuovo scenario, l’agricoltura periurbana (come catalizzatore dei processi di trasformazione urbanistica e sociale) può essere la base e il riferimento per uno sviluppo urbano integrato, per una riqualificazione delle periferie. Valorizzare questa attività permette di affrontare contemporaneamente, in maniera integrata, diverse sfide e di progettare il futuro delle nostre periferie.

Il primo obiettivo è contrastare il consumo di suolo, soprattutto laddove non è giustificato dall’incremento demografico, e quindi assume prevalente carattere speculativo. I terreni, sottratti alla speculazione, recuperano la loro funzionalità ecologica e permettono di svolgere quei servizi ecosistemici, come la depurazione delle acque e il ripascimento delle falde, dei quali tutta la città ha bisogno. Nel caso dell’Agro romano assistiamo anche a un recupero dell’identità storica del territorio e alla valorizzazione del suo patrimonio archeologico. Le aree agricole periurbane possono costituire la base per la localizzazione di attrezzature e servizi per il tempo libero, di spazi pubblici, di aree verdi attrezzate a valenza locale ma anche di settore urbano, anche in rapporto con le scuole e gli altri centri sociali e culturali locali.

Pensare una periferia sostenibile significa anche abbracciare la logica dei “cicli”. In questo caso si tratta del ciclo di rifiuti (pensiamo al ciclo dell’umido, ovvero delle sostanze biodegradabili e recuperabili, per esempio) e del ciclo dell’acqua in primis, ma anche – fattore sempre più centrale – del ciclo del cibo. L’agricoltura periurbana ricostruisce un rapporto tra consumatori e produttori, tramite un mercato “a km zero” e ridà identità a quell’Agro romano che ha storicamente sostenuto l’alimentazione alla Capitale. In generale, questo significa fare leva sulla qualità e sulle specificità come spunto per ripensare l’economia della città.

Ripensare le periferie e il valore del protagonismo sociale

Rivolgere lo sguardo a queste aree significa anche riconoscere come non sia più significativa la dicotomia “centro-periferia”. Per questi territori non valgono più gli stereotipi della periferia tradizionale, luogo degradato e ricettacolo delle peggiori situazioni sociali.

In primo luogo, in queste aree troviamo realtà urbane molto diversificate. A Roma, incontriamo quartieri di edilizia economica e popolare costruiti negli anni ’80, vaste zone di insediamenti abusivi, gated communities e quartieri esclusivamente residenziali (in alcuni casi anche “esclusivi”, ovvero destinati a classi abbienti), nuovi centri commerciali e grandi strutture per il tempo libero che lavorano ad una scala sovralocale, ecc. In alcune di queste realtà la povertà e la marginalità sociale sono ancora rilevanti, come nei quartieri di edilizia residenziale pubblica, ma allo stesso tempo sono anche luoghi di grande impegno e di grande investimento di energie sociali. Inoltre disegnano una geografia frammentata: la “periferia” quindi è oggi definita non più da una marginalità spaziale, ma da una marginalità sociale, dalla povertà e dal disagio, dal venir meno di un ruolo nella città. Viceversa, non si può trascurare una “povertà dell’abitare” nei quartieri residenziali costruiti a ridosso dei grandi centri commerciali o nelle gated communities.

Allo stesso tempo, a Roma si registra una grande diffusione di iniziative locali autogestite e di protagonismo sociale. Gli abitanti, in forme più o meno organizzate, si prendono sempre più cura del proprio contesto di vita, spesso contando solo sulle proprie forze. Le “periferie” sono quindi il luogo di una grande vitalità ed un laboratorio sociale e culturale. In molti casi, sono oggi un luogo di produzione culturale, mentre i centri storici diventano prevalentemente un luogo del consumo culturale. Assistiamo inoltre all’emergere e alla diffusione di forme di appropriazione e riappropriazione degli spazi urbani da parte degli abitanti che li trasformano in “luoghi”, ovvero contesti significativi, utili per l’organizzazione della vita quotidiana e caricati di importanti valori simbolici. Le pratiche sociali di riappropriazione sono anche processi di risignificazione. A Roma questo è particolarmente rilevante ed emblematico.

Queste forme di riappropriazione dei luoghi sono emblematiche e hanno una valenza ampia, che va al di là della stessa agricoltura periurbana. In primo luogo perché, dal punto di vista della sostenibilità e dell’ecologia integrale, sono capaci di sviluppare un approccio che coniuga lavoro, inclusione sociale, attività a servizio del territorio, un’economia attenta all’ambiente. In secondo luogo perché, dal punto di vista delle nuove forme di governance, sono pratiche sociali innovative che al di là delle categorie ordinarie di pubblico e privato sperimentano, tramite la collaborazione tra soggetti diversi e il coinvolgimento degli abitanti, la costruzione di una collettività locale che si assume la responsabilità del buon governo del proprio territorio.

Riappropriarsi della terra. Esperienze a Roma

A Roma esistono già diversi esempi di questo tipo. Si tratta di supportarli e valorizzarli, replicando queste esperienze in altre aree, a cominciare da quelle di proprietà pubblica.

Un primo esempio è la Cooperativa Agricoltura Nuova a Castel di Decima, nella zona sud, non lontano dalla via Pontina e poco fuori il Grande Raccordo Anulare. Nata nel 1977 dall’occupazione delle terre, dopo vent’anni ha ottenuto l’affidamento delle terre e l’azienda si è oggi ampliata integrando più aree. La tutela di questo lembo di Agro romano ha portato poi alla costituzione dell’area protetta, la Riserva di Decima-Malafede, parte del sistema delle aree tutelate all’interno del Comune di Roma, gestite da Roma Natura. Da parte sua la cooperativa si è trasformata in una Cooperativa sociale integrata, valorizzando il lavoro dei diversamente abili, e si è orientata sempre più verso un’agricoltura ed un allevamento di qualità, riconosciuto e certificato. In particolare ha sviluppato un’agricoltura biodinamica. Oltre a vendere nell’area sud-est di Roma tramite intermediari, gestisce anche la vendita diretta. L’aspetto rilevante è che la Cooperativa si è evoluta nel tempo, sviluppando una pluralità di attività ad integrazione della produzione e della tutela ambientale: ristorante/mensa bio (particolarmente utilizzata da chi lavora nelle aree circostanti), area picnic attrezzata, fattoria didattica, GAS, integrazione con attività sociali, centro ippico e ippoterapia, escursioni e attività educative, concerti ed eventi culturali, area camper. Particolarmente curati sono i progetti con le scuole della zona, in quanto per la Cooperativa è importante sviluppare il rapporto ecologia ed educazione.

L’esperienza della Cooperativa Agricoltura Nuova non è l’unica di questo tipo a Roma. Anche se con storie differenti, tra le altre, si possono ricordare la Tenuta della Mistica (dove è coinvolta anche Capodarco) che organizza moltissime attivate per i bambini e per il tempo libero (compresi gli orti didattici) e che nel weekend risulta letteralmente “presa d’assalto” dagli abitanti della zona ma anche da cittadini provenienti da altre parti della città; così come la cooperativa Cobragor nella zona Trionfale, a nord-ovest, o la cooperativa Coraggio, in zona Cassia, a nord, che è risultata vincitrice di un bando sulle terre pubbliche. Quest’ultima, tra le altre cose, organizza una vasta area a orti per gli abitanti dei quartieri circostanti ed un mercato settimanale particolarmente utilizzato ed apprezzato.

Un’esperienza differente, ma emblematica del contesto attuale, è quella di Colle del Sole, nella zona est di Roma, a ridosso della via Prenestina, diversi chilometri all’esterno del G.R.A.. Ci troviamo in una zona di origine abusiva, gestita da un Consorzio di Autorecupero (consorzio che riunisce i proprietari degli immobili e delle aree in zone abusive). Nell’azione di riqualificazione dell’area abusiva, un privato ha realizzato un complesso residenziale, con l’impegno di cedere al Comune alcune aree per la realizzazione del verde e dei servizi. Si tratta di interventi cosiddetti di completamento e compensazione. Il Comune ha preferito non prendere in carico tali aree, date le difficoltà di gestione e la mancanza di finanziamenti per la realizzazione degli interventi previsti. L’area di “compensazione” non acquisita è di 64 ha. Gli abitanti della zona, tramite il Consorzio di Autorecupero, hanno preso l’iniziativa per la riappropriazione di questo spazio. Sono riusciti ad ottenere che la proprietà passasse al Municipio, per favorire una gestione diretta. Hanno sviluppato un progetto sull’area che prevede non solo la destinazione ad attività agricole, ma anche la realizzazione di alcune attrezzature per il verde ed il tempo libero, a favore soprattutto dei più giovani. Il progetto, maturato in questa iniziativa “dal basso”, prevede inoltre l’inserimento di alcune attività e servizi (come il maneggio) che favoriscano la fruizione ed il recupero del rapporto con la terra. Siamo ora nella fase del bando pubblico e della ricerca del soggetto produttivo che possa prendere in carico l’area.